LITIGI,MARCHETTE E “VESTALI” DELL’INFORMAZIONE – di Dionisio Ciccarese – EPolis Bari – 9 gennaio 2014 (MITICO)
Siamo alla vigilia delle elezioni politiche e l’anno prossimo a Bari di quelle amministrative comunali, mi piace ripescare un ottimo articolo di Dionisio Ciccarese del 2014, altra vigilia di elezioni,che ironizza su certo modo di fare informazione di molti giornalisti:
LITIGI,MARCHETTE E “VESTALI” DELL’INFORMAZIONE – di Dionisio Ciccarese – EPolis Bari – 9 gennaio 2014
E’ iniziata nel peggiore dei modi, rispettando il peggiore format possibile. Cosa? La campagna elettorale. Sono stati giorni di fuoco e altri ne verranno perché il livello dei veleni (e degli interessi in gioco) ha già raggiunto il punto di non ritorno. Anni fa ho letto un grande libro: l’autore (Thomas Lauren Friedman) descrivendo il conflitto interno libanese diceva che quanto accadeva a Beirut assomigliava ad una stanza con più porte d’accesso e chiunque vi entrasse sparava contro tutto e tutti senza sapere bene il perché. In quel modo la “Svizzera del Medio Oriente” (era così che veniva definito il Libano prima della guerra civile del 1975) divenne ben presto un cumulo di macerie.
Il declino di Bari non è il frutto solo di una classe dirigente modesta, ma anche di una litigiosità che ha fatto leva sulla voglia di riscatto di una popolazione incapace di comprendere che la costruzione di futuro non passa attraverso la demonizzazione (e la demolizione) degli avversari. Mesi fa ho scritto che quando si crea una saldatura tra politica, magistratura e giornalismo non c’è da stare allegri: il desiderio di protagonismo e di visibilità di queste parti in gioco genera conseguenze devastanti.
Bari ha una miriade di litigi e neanche un progetto. Si procede per colpi bassi ed agguati: e trascorrono poi anni (troppi anni) per restituire alle persone dignità e onorabilità. Diceva Borsellino che la “mafia prima insozza e poi uccide”. Cosa Nostra ha fatto scuola: attaccare la reputazione delle persone è diventato il gioco più diffuso oltre che il più squallido. Il gioco dei “pare” e dei condizionali è uno sport con molti seguaci. Dovrebbero essere i giornali (e i bravi giornalisti) a rappresentare un argine alla maldicenza leggendo carte, verificando affermazioni, riscontrando circostanze. Paradossalmente la pratica più diffusa è esattamente quella opposta: giornali e giornalisti esibiscono le loro affinità politiche e ideologiche facendo a gara per diventare cassa di risonanza di amici e “investitori istituzionali”.
Arriverà un giorno (arriverà) in cui bisognerà interrogarsi seriamente sul ruolo che alcune testate e alcuni giornalisti hanno avuto (e hanno) nel sostenere la propaganda di alcuni e la demonizzazione di altri attori del nostro territorio. E ancora di più sarà interessante stabilire per quali interessi (chiari e oscuri) lo hanno fatto fomentando una sorta di “guerra civile”, distruggendo patrimoni e conoscenze, favorendo in declino economico, imprenditoriale e intellettuale della città.
Perché “nella città e nella regione dei due pesi e delle due misure” (tali sono ormai Bari e la Puglia imprigionate in una fastidiosa cappa di dominio pseudoculturale) è incredibile per come si gridi allo scandalo per alcuni e si sorvoli sulle plateali malefatte di altri.
Bari e la Puglia nell’ultimo decennio sono state interessate da fenomeni di malcostume, promiscuità, complicità, corruzione come mai era accaduto in passato eppure la leadership continua a godere di buona stampa (almeno per quello che concerne i cosiddetti “media classici”). Tuttavia questa situazione ha oggi un nemico potente nelle “reti sociali” dove il sentimento (qualcuno lo chiama “odio sociale”) si esprime spesso con formule deliranti e di inusitata violenza verbale, ma in ogni caso fornisce indicatori eloquenti del ritardo culturale dei giornalisti “tradizionali” che ancora si illudono di essere dei “gatekeepers” in grado di gestire i “cancelli” dell’informazione.
Primarie ed elezioni americane (e non solo) hanno ripetutamente dimostrato come consolidate e storiche redazioni abbiano preso abbagli clamorosi sugli esiti elettorali (appoggiando candidati in modo peraltro assai più trasparente di come viene fatto in Italia da pseudopaladini dell’informazione). Se ne dovrebbe tenere conto dalle nostre parti dove la “propaganda” di alcuni impera in funzione di cospicui investimenti pubblicitari istituzionali oltre che di incarichi e consulenze per parenti, congiunti e affini.
I sacri testi sul mondo del giornalismo sostengono che in democrazia un popolo più informato è un popolo più libero. Ma un popolo deve decidere di essere padrone di se stesso, del proprio presente e del futuro dei propri figli. Non è facile avere ragione del “bisogno di appartenenza” per sentirsi sicuri e protetti e destinatari di agevolazioni, benefit e prebende. Perché è proprio quel distacco dalle “appartenenze” a garantire libertà, indipendenza e professionalità. Il resto è marchetta. Che sia pretestuosamente ideologica o maledettamente materiale poco importa. Alla fine tutto si mischia soprattutto per quelli che ci vogliono far credere di essere delle vestali e ci hanno stufato. Perché Bari e la Puglia affondano.