Minniti si ritira dalle primarie, e il Pd ormai è l’orchestra del Titanic
Marco Minniti, che non ha l’appoggio dei renziani, dice addio alla sua candidatura a segretario del Pd. Resta un partito che perde tempo nel vuoto, lacerato da conflitti interni. Senza una direzione, a parte proteggere il particolare dei vari, confusi, esponenti
L’addio alla corsa per la segreteria Pd annunciato stmattina in un’intervista a Repubblica, da Marco Minniti è senz’altro un problema per il partito ma lo è anche, in generale, per gli equilibri dell’Italia, che dovrà rassegnarsi a fare a meno per molto altro tempo della principale forza di opposizione, paralizzata da un processo entropico che le impedisce di esercitare ogni ruolo.
C’è qualcosa di paradossale nelle vicende di un Paese che per decenni ha lamentato lo strapotere interdittivo delle forze anti-governative, i limiti posti al decisionismo delle classi dirigenti, insomma l’eccesso di dialettica democratica, e all’improvviso vede languire ogni forma di contrappeso al potere e si ritrova a invocare un qualsiasi attore di conflitto – persino Berlusconi viene quotidianamente lusingato e incoraggiato ad agire – perché l’opposizione è sparita, latitante, out, rumorosa solo nel quotidiano duello tra influencer ma piuttosto irrilevante ovunque eravamo abituati a vederla, dal Parlamento alle piazze.
Il Pd è al centro di questo bizzarro fenomeno, non solo perché è la minoranza più consistente ma anche perché ha dalla sua una tradizione lunga mezzo secolo di opposizione praticata, come si suol dire, a tutti i livelli. Dovrebbe insomma avere le competenze per esercitarla. E invece eccolo lì, alle prese con un processo che (nella migliore delle ipotesi) ci consegnerà la sua versione 2.0 in marzo, fra quattro mesi, un tempo biblico per la politica italiana che ormai ragiona sulla misura dei giorni e delle settimane.
Il Pd 2.0 nascerà in marzo, fra quattro mesi, un tempo biblico per la politica italiana che ormai ragiona sulla misura dei giorni e delle settimane
Fare il partito del Pil o quello dei diseredati? Della borghesia che ancora regge o del ceto medio impoverito? Essere clintoniani o corbyniani, macroniani o sanderisti? E quale schema politico immaginare per una futura rivincita, la grosse coalition con Forza Italia o esperimenti finora esorcizzati a fianco della rivoluzione M5S?
Il dibattito si è già perso per strada da un pezzo, e adesso il ritiro di Minniti, con il sospetto che sia stato determinato dalla decisione di Renzi di fondare un nuovo movimento prima delle europee, lo cancella del tutto. Non ci sarà più spazio per i contenuti, né domani né dopodomani, ma solo per la lotta di sopravvivenza degli spezzoni correntizi sopravvissuti ai precedenti tsunami.
È toccato a Mara Carfagna accorgersi che in finanziaria si sono trovati soldi per tutti – dalle birre artigianali ai massaggi negli hotel – ma non per le famiglie affidatarie di bambini orfani a causa dei femminicidi
E tuttavia questa opposizione serve, e ci sarebbe un grande spazio per chi se la intestasse: non solo quello delle imprese del Nord preoccupate dalla manovra, delle platee di Roma e Torino avvelenate con le rispettive amministrazioni, ma anche quello del volontariato e dei cattolici ostili alla svolta securitaria sull’immigrazione, delle donne preoccupate per l’oscuramento di diritti che sembravano acquisiti, dei molti giovani che piuttosto che il reddito di cittadinanza vorrebbero vedere riavviato l’ascensore sociale e insieme ad esso la speranza di una vita non del tutto precaria.
Insomma, c’è un mondo intero oltre il duello sulla segreteria Pd e l’infinita contesa tra Renzi e la nomenclatura sopravvissuta alla sua rottamazione. Un mondo di cui quasi nessuno si occupa. Tanto che ieri, mentre il partito era impegnato a decrittare le risposte di Renzi a Minniti, o a far volare sui social la polemica sulla piscina gonfiabile di Di Maio, è toccato a Mara Carfagna accorgersi che in finanziaria si sono trovati soldi per tutti – dalle birre artigianali ai massaggi negli hotel – ma non per le famiglie affidatarie di bambini orfani a causa dei femminicidi: 10 milioni di euro promessi e poi dirottati verso altri soggetti. Una piccola, secondaria battaglia di principio, si dirà. Ma la capacità di portare avanti battaglie di principio era una delle caratteristiche fondanti della sinistra: ora sembra sparita pure quella, salvo che non si consideri “principio” il quotidiano rimpallo su Youtube delle gaffe verbali degli avversari.
Se oggi a molti il potere del governo sembra strabordante e la comunicazione dei suoi leader ai limiti dell’arroganza, è anche per questo: perché nessuno nel Palazzo ha più il timore di offrire un assist all’opposizione. Anche se lo facesse, quella palla cadrebbe a terra, ignorata dai giocatori. Una cosa così in Italia non era mai successa, ne’ nella Prima Repubblica dominata dall’occhiuta attenzione del Pci al campo, né nella seconda, teatro di un bipolarismo muscolare e senza sconti, ma neppure nell’ultimo decennio, quando la vigilanza dell’opposizione M5S ha imposto alle maggioranze cautela su ogni virgola. Aspettare che il Pd o il futuribile partito di Renzi si assestino, sperando che la democrazia ritrovi i suoi contrappesi, sarà disastroso non tanto per i diretti interessati (ciascuno, in fondo, può perdersi come vuole) quanto per l’ordinario funzionamento delle cose: i pericoli dello scarso decisionismo li conosciamo tutti, quelli di un decisionismo senza controparti potrebbero essere anche peggio.