Primo maggio: festa degli schiavi? di Fabio Marcelli
Il barista che mi serve tutte la mattine espresso e cornetto anche oggi lavora. Gli ho chiesto se andava a mangiare fave e pecorino per la tradizionale escursione del primo maggio e mi ha risposto che non è la sua festa. Non si sente lavoratore ma schiavo. Ovviamente era una battuta. Ma coglie una parte di verità.
E’ in corso da tempo una degradazione del lavoro che costituisce un fenomeno strutturale che va ben al di là delle norme e delle declamazioni. Vari sono gli aspetti di questa degradazione. La competizione esistente fra i capitalisti porta a un deterioramento costante delle condizioni di lavoro. Ciò avviene mediante vari strumenti, dalla delocalizzazione, che spinge le imprese a investire in luoghi dove hanno mano libera, allo sfruttamento del lavoro migrante, all’importazione di beni costruiti in luoghi dove non vigono né norme di tutela né garanzie, alla polverizzazione delle aziende per sottrarle alle normative di tutela del lavoro, all’invenzione di forme di lavoro autonomo per finta in realtà caratterizzate da subordinazione sostanziale, alla precarizzazione, ecc.
Il tutto all’insegna dello sfruttamento più selvaggio. I licenziamenti diventano sempre più facili. La precarietà, solo valore cui sembra ispirare la sua azione il governo Renzi, diventa oramai la norma, specie per i più giovani. La disoccupazione dilaga al punto che la stessa Susanna Camusso afferma che il primo maggio più che festa del lavoro dovrebbe essere festa dei disoccupati. Disoccupazione e precarietà uccidono il futuro e uccidono l’economia come hanno capito anche organi e organismi del capitalismo, dal New York Times al Fondo monetario internazionale. Non l’hanno invece capito Renzi e Poletti e si teme che non lo capiranno mai.
La quota di reddito nazionale destinata ai salari è in crollo costante da molti anni a questa parte. Non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente capitalistico. Non bastano certo le mancette di ottanta euro a recuperare questa perdita permanente, che in Italia ha subito una decisa accelerazione con il venir meno dell’indennità di contingenza, fortemente voluto, all’epoca, dal cleptocrate Bettino Craxi. Oggi bisogna chiedere un reddito di cittadinanza per tutti, anche e soprattutto per i disoccupati.
Involuzioni analoghe hanno avuto luogo negli ultimi quarant’anni in tutti i Paesi economicamente avanzati. Quelli cosiddetti emergenti hanno fatto ricorso a forme di sfruttamento selvaggio che hanno costituito una delle basi del loro emergere. Molte volte si scatena la più massiccia repressione contro i tentativi di organizzazione. La Colombia, sedicente democrazia, ha il record mondiale dei sindacalisti morti ammazzati. Eppure nessuno ne parla. Un forte problema di potere e diritti dei lavoratori si pone ovunque, a cominciare dalla maggiore economia mondiale, la Repubblica popolare cinese.
Checché se ne dica, la lotta di classe è in pieno corso. Tuttavia la combatte solo il padronato. E la combatte bene. In Italia sono stati smantellati tutti i partiti che erano un riferimento per i lavoratori. Molti per la propria insipienza. Annegati nel proprio narcisismo senza costrutto o addirittura nella corruzione oggettiva e soggettiva. Oggi si tenta, con la Lista Tsipras, di rilanciare una sinistra e occorre fare di tutto affinché il tentativo riesca e vanno appoggiati settori e posizioni di sinistra nel Movimento Cinque Stelle. I sindacati non sempre fanno il loro mestiere. Anzi quasi mai. Bisogna appoggiare i pochi che lo fanno, come la Fiom e qualche altro settore della Cgil, Usb e Cobas.
In questa modifica dei rapporti di forza, che si è prodotta su base planetaria, hanno la loro principale radice i fenomeni peggiori del nostro tempo. Senza lavoratori organizzati non c’è democrazia. Senza democrazia non c’è difesa efficace dalle mafie, dalla corruzione, dall’evasione fiscale, dal degrado ambientale, ecc. O vorreste che ci pensasse la Confindustria? O le banche? O le società finanziarie? Quando sono loro, in realtà, i principali artefici dello sfascio?
Per questi motivi anche l’Italia sta andando alla deriva. Era una Repubblica fondata sul lavoro, è diventata un Paese ademocratico fondato sulla schiavitù di chi lavora. Immigrati e nazionali.
E’ un momento difficile ma passerà. La vecchia talpa scava ancora e senza sosta. Non si può continuare a tenere generazioni intere nel limbo della disoccupazione e della povertà. I dementi che governano l’economia italiana e mondiale forse lo pensano. Non sono affatto consapevoli, come di tante altre cose, del fatto che stanno vivendo loro un’esistenza precaria, in cima a un vulcano che prima poi è destinato ad esplodere. Sarebbe l’unica reale chance di sopravvivenza per il pianeta e per l’umanità.