Un miliardo e mezzo di euro pubblici dati ai giornali che non leggi. È giusto?
IL CANONE OCCULTO ALLE TV LOCALI,(LA PUGLIA AL SECONDO POSTO) tra maghi e hot line
Altra ‘tassa’ sconosciuta ai più, ma pagata da tutti in Italia è l’aiuto di Stato alle tv locali. Ogni anno il Ministero dello sviluppo economico stanzia un bel gruzzolo che poi viene ripartito regione per regione. Con molta pazienza, abbiamo tirato fuori ed aggregato gli importi dal 1999 – anno in cui iniziò il banchetto preparato con la legge Finanziaria del ’98 con ‘soli’ 12,4 milioni di euro – al 2015. Una cifra monstre, ai livelli del fiume di quattrini pubblici regalati ai giornali: un miliardo e 334 milioni di euro. Questo il totale rivalutato ad oggi con indice Istat. Guardando le somme (non rivalutate ad oggi) la Lombardia domina con oltre 137 milioni di euro, seguita da Puglia (quasi 121 mln), Sicilia (111 mln), Veneto (107 mln) e Campania (98 mln). L’ultimo stanziamento, per il 2015, è di novembre scorso: oltre 36,7 milioni di euro in tutta Italia, quasi 1,9 per le tv laziali. Queste somme sono in attesa di essere pagate per via delle meticolose verifiche. «Costano una montagna di tempo e di lavoro agli impiegati, funzionari e dirigenti ministeriali», confida una dirigente del Ministero per lo sviluppo economico che si occupa di questi contributi. Cifre ancora consistenti quelle degli ultimissimi anni, ma sono impressionanti gli importi durante il periodo 2005 – 2011. Addirittura nel 2008 si arrivò ad oltre 177 milioni di euro al livello nazionale. Ma perché dobbiamo pagare i canali dove impazzano chat porno, maghi, cartomanti e televendite a martello?
È questa l’informazione?
Da IL CAFFE’.TV
Nonostante i recenti tagli, ce n’è davvero per tutti i gusti. Ma a pagarli sono tutti i contribuenti italiani, senza distinzioni: parliamo dei giornali che ricevono aiuti di Stato.
L’ultimo aiuto prevede per il 2015 oltre 39 milioni e mezzo di euro di contributi diretti, praticamente soldi cash erogati dallo Stato.
UN MILIARDO E MEZZO DI EURO
Dal 2004 al 2015 il Caffè ha potuto ricostruire buona parte degli importi stanziati, in base ai dati pubblicati dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria presso la Presidenza del Consiglio: quasi un miliardo e mezzo di euro. Ci sono poi gli aiuti erogati sotto forma di agevolazioni fiscali su utenze telefoniche, spedizioni postali, rimborsi per la carta e per la spedizione degli abbonamenti, interessi sui mutui ed altro ancora. Questi ultimi li chiamano contributi indiretti e ne usufruiscono di solito i grandi gruppo editoriali, come quelli che ad esempio pubblicano “La Repubblica”, “Il Corriere della Sera” o “Il Sole 24 Ore”. Il noto quotidiano di economia e finanza, edito dalla Confindustria, purtroppo è alla canna del gas, sull’orlo del fallimento: “Dall’ultimo miglio – scrivono i suoi giornalisti – siamo passati all’orlo del baratro”. Eppure anche loro hanno attinto alla mammella pubblica: ad esempio nel 2004 tre milioni di euro li ha presi “Il Sole 24 Ore”, emblema dell’imprenditoria italiana e organo della Confindustria, che evidentemente non disdegna l’aiuto dello Stato, nonostante la vocazione al libero mercato e alla imprenditorialità, che dovrebbe significare andare avanti con le proprie forze. Un miliardo e 469 milioni e 770mila e spicci è il totale assegnato dai vari governi alla carta stampata dal 2004 al 2015. Ma solo come contributi diretti. Ma ne andrebbero aggiunti tanti altri.
Ad esempio, noi abbiamo trovati altri 584 miliardi di lire dal 1992 al 1995, in un vecchio resoconto mezzo imboscato del Gruppo di lavoro della Presidenza del Consiglio.
IN NOME DI VALORI SACROSANTI
Questa enorme mole di denaro pubblico ha le sue originarie motivazioni nella nostra meravigliosa Costituzione, la quale tutela come sommo bene la libertà di stampa e la pluralità di voci nell’informazione. Questa è riconosciuta in sostanza come “un interesse generale alla informazione – indirettamente protetto dall’articolo 21 della Costituzione – e questo interesse implica, in un regime di libera democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee”. Così ha stabilito la Corte costituzionale nel lontano 1972.
Cos’è successo? I titolari di quell’interesse generale – i cittadini – hanno dovuto foraggiare un intero settore, con situazioni spesso e volentieri sfociate nel magna-magna più becero. Non solo i politici ci hanno mangiato con gli ormai famosi “giornali di partito” e testate camuffate da voci libere, rastrellando ingenti risorse, anche diversi presunti imprenditori ed editori se ne sono approfittati.
VITTIME ANCHE I GIORNALISTI
Gli stessi giornalisti ne sono stati vittime. Restando in zona, i redattori del quotidiano “La Provincia” hanno dovuto lottare per ottenere diversi mesi di stipendio dal costruttore ciociaro, allora leader della Confindustria di Frosinone, al quale sarebbe stata riconducibile la testata. Non erano bastati gli oltre 10 milioni di euro di sussidi incamerati per le annualità tra il 2003 e il 2010. Al “gemello” superstite, “La Provincia Quotidiano di Frosinone”, per il 2015 sono previsti 400mila euro. Nel frattempo è purtroppo fallito. Per l’Ordine dei giornalisti ora, con la nuova legge che è di manica meno larga e in attesa che arrivino i decreti attuativi, l’auspicio è che la Presidenza del Consiglio trovi “il modo per far sì che questi finanziamenti non restino nelle casse degli editori, ma vadano anche ai giornalisti che vivono attualmente in una condizione di grande sfruttamento”. Meglio va all’ex “Latina Oggi”, quotidiano ora in edicola come “Editoriale Oggi”: 875mila euro stanziati per il 2015, dopo le vicissitudini con l’ex patron Giuseppe Ciarrapico. Le 8 testate riconducibili a questo signore, anche tra Latina e Frosinone – secondo la Corte dei Conti – hanno incassato 45 milioni di euro dal 2000 al 2007. Poi la condanna prima a 3 e poi a 5 anni di reclusione per oltre 20 milioni di euro di sussidi fino al 2010… Per il 2015, molto meno andrà a “Il Granchio”, testata locale di Nettuno, a sud di Roma: 59mila euro e rotti, circa 4mila in più rispetto al 2014 e 11mila in più rispetto al 2013. Un tempo andava meglio: per il 2007 prese 88mila euro e quasi 90mila per il 2008 e altrettanti per l’anno dopo. 72.407 per il 2010
CALA LA LIBERTÀ DI STAMPA
Su tutto si pone il quesito: perché i cittadini devono pagare questa sorta di tassa occulta sulla stampa che non leggono? Parliamo di decine e decine di pubblicazioni sconosciute ai più. È il bello della democrazia, si dirà. Peccato che nella classifica della libertà di stampa, elaborata da Reporters senza frontiere, vede l’Italia, come sempre negli ultimi anni molto male: siamo al 77° posto su 180. Dopo Paesi come El Salvador, Burkina Faso o Nicaragua… Mentre l’istituto americano Freedom House ci classifica come nazione con “libertà di stampa parzialmente libera”, all’89° posto su 195 Paesi. Ecco perché le nostre testate, “il Caffè” e la rivista “Acqua & Sapone”, non hanno mai chiesto né preso un centesimo di provvidenze per l’editoria. Per fare davvero impresa, con le nostre forze, nell’informazione e nella cultura e per restare indipendenti.
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Politici, minoranze, preti, sport: soldi per tutti
L’ultimo elenco delle testate ammesse ai sussidi per l’anno 2015 è variegato. Oltre ai quotidiani, magari anche validi, spaziamo dal mensile “Italia Ornitologica”, per volare oltreoceano con “America Oggi” (quasi 852mila euro), a giornali in lingua straniera: è il caso del “Die Neue Sudtiroler Tageszeitung” per i fratelli del Sudtirolo. Quasi un milione e 120mila euro pagati dallo Stato italiano, senza nemmeno la soddisfazione di capire cosa significhi nella nostra lingua quel nome…
E poi “Dolomiten”, sempre in tedesco, mentre in sloveno sussidiamo “Il Primorski dnevnik” pubblicato a Trieste, unico quotidiano della minoranza di lingua slovena in Friuli-Venezia Giulia: un milione e 46mila euro. E quei rombanti 242mila euro alla rivista “Motocross”? 307mila euro invece corrono dritte nelle casse di “Sprint e Sport”, quasi 98mila euro sonanti vanno alla rivista per gli amanti dell’alta fedeltà “Suono”. Ridimensionati i regali statali soprattutto per testate come il “Secolo d’Italia”, l’ex testata della fu Alleanza Nazionale: l’ultimo contributo diretto ammonta a 447mila euro e spicci. Quando era in mano all’on. Gianfranco Fini, incassava oltre 3 milioni di euro l’anno, con circa 700 copie vendute al giorno (e solo per 260 giorni l’anno). “L’Unità”, campione di incassi, l’ultimo aiuto l’ha visto per l’anno 2014: 1 milione e 954mila euro. Ha munto cifre astronomiche in 25 anni, spesso con somme anche superiori ai 7 milioni per una sola annualità. Complessivamente, dal 1990 al 2014, come testata del Pci, poi Pds, quindi Ds, ha ricevuto dallo Stato circa 154 milioni di euro. Per tantissimo tempo prendeva i sussidi grazie al criterio che dava un tot per ogni copia stampata, comprese quelle non vendute e mandate al macero (anche la metà). E per giunta, dopo che i ‘compagni’ si sono uniti agli ex democristiani della Margherita, il Pd aveva anche l’altra testata “Europa” (anche 3-4 milioni l’anno: totale 29 milioni dal 2004 al 2014). Anch’essa sussidiata, ovviamente. Tornando alle nuove provvidenze anno 2015, resiste l’altro quotidiano marxista “Il Manifesto”: ben 2 milioni e 138mila e spicci. Deve accontenarsi di 717mila euro “Conquiste del Lavoro”, del sindacato Cisl. Dal 2003 al 2015 ha conquistato oltre 25 milioni milioni di euro, a botte anche di oltre 3 milioni l’anno. Invece “il Foglio” si attesta su un milione e 257mila euro per il 2015, circa il triplo rispetto al 2014, ma molto meno rispetto ai tempi d’oro in cui prendeva anche 3,8 milioni l’anno (totale: oltre 32 milioni dal 2004 al 2015). Oltre 535mila euro a “L’Opinione delle Libertà”, indispensabile giornale distribuito (dice Wikipedia, mezzo d’informazione gratuito e senza sussidi statali) in Campania, a Firenze, Livorno e Pisa, nelle Marche a Massa Carrara, Milano e sull’isola di Pantelleria. Da non confondere con “Libero quotidiano” e “Opinioni Nuove” di Vittorio Feltri: 3 milioni 781mila euro per il 2015; per il 2008 prese quasi 7,8 milioni, quasi 6 milioni nel 2004. Entrambi comunque alfieri delle idee liberali e liberiste, quali la libera impresa, la concorrenza, la non ingerenza dello Stato nel libero mercato. Ma se si tratta di contributi all’editoria le cose cambiano: il proprio business si può fare coi soldi altrui. Nel febbraio 2011, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha sanzionato il senatore Antonio Angelucci – quello delle cliniche San Raffaele molto note nel Lazio – per omessa comunicazione di controllo per i giornali “Opinioni Nuove” – “Libero Quotidiano” (Libero) e “Il Nuovo Riformista” e perciò la Commissione Consultiva sull’editoria presso la Presidenza del Consiglio ha chiesto indietro ai due quotidiani i circa 43 milioni di euro di contributi percepiti negli anni 2006-2010. “Italia Oggi”, quotidiano economico, ora è più “economico”: per il 2015 si vede assegnati “solo” 535mila euro (nel 2005 ne prendeva 5 e dal 2014 al 2015 totalizza oltre 47 milioni). Adesso però batte tutti il quotidiano dei vescovi, “Avvenire”: 4 milioni e 190mila euro, sempre per il 2015. E poi tanti altri quotidiani e pubblicazioni religiose, di solito con piccoli importi, ci sono anche “Buddismo e Società e Riforma” – “L’Eco delle valli valdesi”. Ancora: testate delle minoranze linguistiche, abruzzesi, trevisani, lucchesi nel mondo e così via